Nel nostro amato sport piscatorio ognuno si appassiona ad una tecnica piuttosto che ad un'altra. Chi ama attendere quel timido tentennio di un galleggiante sul pelo dell'acqua che bruscamente viene risucchiato verso il fondo, chi lancia pezzi di plastica e ferro in mare sperando in una botta improvvisa, chi con la sua barca trascina un'esca per miglia e miglia in mare sperando in un glorioso ronzio del cicalino, chi sfida le proprie prede addentrandosi nel loro mondo armato di maschera e pinne, chi....potrei continuare all'infinito. Tutto ciò per dire che la pesca è una passione dalle mille sfaccettature. Ma su una cosa oggi vorrei soffermarmi con più attenzione. Il rilascio.
Ammetto di essere un praticante del Catch&Release quasi totale, non perchè sia un gesto nobile come molti dicono (cosa di cui dubito, sarebbe nobile non dargli fastidio se si è già consapevoli di volerli rilasciare), ma perchè mi fa stare bene. Si sa, noi pescatori siamo fondamentalmente egoisti e non badiamo a far del male alle nostre prede, lo sappiamo e lo sanno tutti, cerchiamo di difenderci quando ci attaccano ma non abbiamo scusanti...ci piace. Sono sincero quando dico che rilasciare un pesce mi dà la stessa carica di adrenalina che provo quando sento la botta sul manico della canna. Inutile negarlo...non so se sbaglio o meno, però mi fa stare bene con me stesso. Non critico nessuno che la pensi diversamente, ma accetto chi critica le mie idee.
Sappiamo che esistono delle leggi sulle misure minime del pescato, sappiamo tutti che molte di queste sono ridicole e prive di senso, sappiamo tutti che se qualcuno porta a casa un pesce che supera queste taglie è inattaccabile. Sappiamo tutti che se per la legge è ok, allora si può fare (è strano vedere come le leggi sono buone solo quando servono a giustificarsi). Però ogni tanto confesso di dubitare del mio rapporto con il rilascio, mi chiedo se sia realmente giusto o meno. Penso alle mie catture, ai miei rilasci, alle spigole di taglia e non che sono tornate in mare, e, nonostante provi gioia nel ricordare il momento in cui il pesce con uno scatto ritorna fra le sue onde, mi chiedo se in quel momento abbia fatto la cosa giusta. Penso a quello stesso pesce su di una tavola imbandita, con i tuoi parenti, le risate, i visi gioisi nel gustare una bel pesce, tutta la famiglia unita allo stesso tavolo a condividere la tua cattura. Immagini i momenti in cui descrivi agli zii in ogni minimo particolare tutte le fasi della cattura, la sveglia alle 4 di mattina, l'attacco a vuoto, il cambio dell'esca, la botta ed il combattimento. Rivivi quei secondi come se fossi ancora fra le onde a combattere con il tuo avversario. Ed allora pensi che forse avresti potuto portarlo a casa e condividerlo con i tuoi cari...o forse no...Io personalmente amo restare nel dubbio, non scelgo mai il destino di un'eventuale cattura a priori, amo lasciarmi guidare dall'istinto, dalle emozioni, dal momento. Spesso vince il desiderio di rivedere il mio avversario che ritorna lentamente nel suo elemento, non so spiegarlo, probabilmente è un gesto di ringraziamento per quelle emozioni che solo in quel modo mi ha potuto regalare. Emozioni che terrò sempre con me, ad ogni lancio, ad ogni pesce e ad ogni cappotto. Per questo capisco chi decide di portare a casa la propria preda, lo capisco perfettamente e, sebbene la pensi diversamente, lo accetto e lo comprendo.
Personalmente, mi piace pensare che la pesca sia un'incognita, non mi piace studiare la pesca come fosse una scienza di cui bisogna conoscere tutti i suoi segreti, lascio che la pesca ed il mare mi sorprendano. Ogni pescata, ogni combattimento è un mondo a se stante, ed il rilascio deve essere un gesto che nasce dal cuore, istintivo, spontaneo, deve avere un senso per noi, non per gli altri.
Parrucca
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